Vocabolista bolognese

1660

 

 

 

Autore

Montalbani, Ovidio

Titolo

Vocabolista bolognese

Stampe

Prima edizione:

1660: Vocabolista bolognese, nel quale con recondite historie, e curiose eruditioni il parlare più antico della madre de studi come madre lingua d’Italia chiaramente si dimostra lodeuolissimo, da cui non poco giouamento può riceuere ancora la moderna volgare più stimata fauella ... Industria del sig. Gio. Antonio Bumaldi bolognese. In Bologna, per Giacomo Monti.

 

Biblioteca dell’Accademia della Crusca - Firenze

 

Edizioni  esaminate

1660: prima edizione, in Bologna, per Giacomo Monti.

L’opera e il suo sommario

 

sommario. Illustriss. Signore [ad Antonio Paselli Bianchini] (cc. a3r-a3v); Al cortese lettore. Il libraro (cc. nn.); Vocabolista bolognese (pp. 1-99); [Lemmario] (pp. 99-260).

 

l’opera. Montalbani pubblica con uno pseudonimo questo piccolo vocabolario per reagire all’atteggiamento antidialettale espresso dagli accademici della Crusca, in particolare dal Salviati. I riferimenti al bolognese sono numerosi: già nella prefazione registra tratti del dialetto, quali la metafonia, l’eliminazione delle vocali accentate, l’uso della forma obliqua ‘mi’ per ‘io’, e modi di dire italianizzati come il seguente: “Non haver Filone, significa in lingua nostra Bolognese non havere paura, non essere da poco, nè ignorante, come fù un tal Filone antico trà la Grecia, e l’Italia famoso per la sua gran goffagine, onde diede luogo al Proverbio Latino, Philonide indoctior”.

   La sua difesa del bolognese poggia sulla considerazione di un ruolo prioritario del parlato rispetto allo scritto e sull’adesione alle tesi di Girolamo Muzio e di altri italianisti coevi sul ruolo della ‘Lombardia’ come culla dell’idioma italiano: “E però mi persuado, che appresso quelli, i quali adopreranno il retto giudicio della ragione saranno tutte le voci seguenti Bolognesi, e lombarde, anzi dirò Genuine Italiane havute in pregio, com’è il dovere, coll’ammetterle al consortio, ed all’ugualità di tutte l’altre voci più usuali capaci della Sapienza” (p. 98). Al bolognese si riconosce, tra l’altro, il pregio della brevità – in conformità con i canoni del coevo barocco – e una più generale dote di bellezza (“È un faro di mele”, p. 3).

   Nel lemmario l’autore registra spesso del dialetto solo varianti fonomorfologiche, difese in nome di un’etimologia non sempre corretta (“Decore, per decoro più regolatamente si pronuncia, sì come si dice honore, dal verbo honoro; e dolce dal verbo antico dolzo, che hora è addolcisco, e simili”; “Degiuno, per digiuno più prossimo al latino Ieiunium”).  Naturalmente si lemmatizzano anche voci più specificamente bolognesi, quali “bacchiocco” (“vuol dire uno senza ingegno”) e “bazzarare” (“contrattare”).

   Lo stesso autore ricorda la pubblicazione di altre sue due opere, Dialogogia (1652) e Cronoprostasi felsinea overo le Saturnali vindici del parlar Bolognese (1653), confluite poi nel Vocabolista.

 

Nota bibliografica

Zeno - Fontanini 1753: 73; Fantuzzi 1781-89: 57-64; Trabalza 1908: 344; Vitale 1988: 307-24; Marazzini 1993: 86.