Commentarii della lingua italiana

1581

 

 

 

Autore

Ruscelli, Girolamo

Titolo

 

Commentarii della lingua italiana

Stampe

Prima edizione:

1581: De' commentarii della lingua italiana. Del sig. Girolamo Ruscelli viterbese libri sette. Ne' quali con facilità, et copiosamente si tratta tutto quello, che alla vera et perfetta notitia di detta Lingua s'appartiene: hora posti in luce da Vincenzo Ruscelli. Con due Tauole, una de' capitoli, & l'altra delle cose più notabili. All'Illustrissimo, & Eccellentissimo Sig. Iacomo Boncompagno Duca di Sora, & Governator Generale di S. Chiesa. In Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra.

 

Biblioteca dell'Accademia della Crusca – Firenze (2 copie)

Biblioteca di Lettere e Filosofia - Firenze

 

 

Edizioni e ristampe:

1589: De' commentarii della lingua italiana. Venetia, appresso Damian Zenaro.

 

1591: De' commentarii della lingua italiana. Del sig. Girolamo Ruscelli Viterbese; libri sette. Ne' quali con facilità, & copiosamente si tratta tutto quello, che alla vera & perfetta notitia di detta lingua s'appartiene: hora posti di nuovo in luce. Con due tauole, una de' capitoli, & l'altra delle cose più notabili. All'illustrissimo et eccellentiss. sig. Giacomo Buoncompagno Duca di Sora, Marchese di Vignola, et Confalonieri di S. Chiesa. Con privilegio.  In Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra.

 

1602: De' commentari della lingua italiana del sig. Girolamo Ruscelli Viterbese libri. In Venetia, appresso Damian Zenaro.

 

 

Edizioni  esaminate

1581 (prima edizione): in Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra.

 

Sommario e contenuto dell'opera:

All'Ill.mo et Eccel. Signore, il Signor Iacomo Boncompagno, Duca di Sora, et Governator Generale di Santa Chiesa [La dedicatoria è scritta da Vincenzo Ruscelli, nipote di Girolamo, che ha curato l'edizione dell'opera dopo la morte dell'autore. Sicuramente fra le opere scritte da Girolamo Ruscelli i Commentarii della lingua italiana è stata quella più stimata dallo stesso autore e più attesa dai lettori; egli tuttavia non riuscì a darla alle stampe prima della sua morte e perciò l'opera ‘rimase se non imperfetta, almeno priva di quello splendore, et di quella estrema mano, che si suol mettere in tutte le cose, le quali hanno a comparire nel cospetto altrui’. L'opera, poiché in un certo senso incompleta, come si capisce anche dagli accenni che qua e là l'autore faceva a possibili approfondimenti, potrebbe aver bisogno di appoggio e sostegno, che, il curatore si dice certo, Iacomo Boncompagno non le farà mancare]. Tavola de' Capitoli; Indice generale; Tavola delle cose piu notabili [Indice analitico]. Libro Primo (pp. 1-71) [Nel primo capitolo si afferma che la favella umana, di cui anche la scrittura è una manifestazione, contraddistingue l'uomo dagli altri animali, poiché è segno della sua razionalità. La nobiltà della parola è poi confermata dalle Sacre Scritture (cap. secondo): in esse è più volte ripetuto che nella Creazione Dio fa precedere la parola al fatto, che Iddio e poi il Cristo sono la parola, che prima azione dell'uomo fu il parlare, che punizione divina per la superbia degli uomini fu la divisione delle lingue e segno dell'attenzione divina fu il dono della capacità di parlare in tutte le lingue fatto agli Apostoli. Prova, poi, che ‘la favella sia più particolar operatione dell'anima’, è il fatto che grandi emozioni possano privar l'uomo della parola. Nel terzo capitolo si sostiene che lingua usata da Iddio per rivolgersi agli Angeli e con la quale questi ultimi cantano le loro lodi a Dio è la lingua Ebrea, considerata lingua santa. Nel quarto capitolo si dà la definizione di voce: ‘quel carro, et quello istrumento, che porta la forma delle parole all'orecchie, et indi all'animo et all'intelletto nostro’ e si ragiona di ‘che natura, et di che qualità ella sia’; nel quinto capitolo si dimostra che  la ‘maggiore efficacia’ della voce umana rispetto alle altre voci animali è dovuta alla particolarità della materia di cui essa si compone. ‘Della forma della voce’ si parla nel capitolo settimo: elementi fondamentali della forma della voce sono l'armonia del suono (‘quando ella per certi numeri, et misure è talmente disposta, che move l'udito in questo, ò in quell'altro modo à noia, ò à diletto’) e il significato delle parole.

Nel capitolo conclusivo del primo libro si ragiona dell'origine e della dignità della lingua italiana: la lingua latina fu adottata da tutti i popoli dell'Italia che pure avevano una lingua propria, lo stesso accadde in Francia, in Germania e in Spagna e in altre province dell'Impero Romano. Le invasioni barbariche furono causa della corruzione della lingua latina al punto che nacque una lingua diversa da quella latina e da quelle degli invasori. Col passar del tempo questa lingua acquistò dignità e i ‘belli ingegni’ cominciarono a usarla nei loro scritti in prosa e in poesia. È questa la versione dell'origine della lingua italiana ripresa dalla riflessione quattrocentesca e data anche dal Bembo e da altri scrittori. Petrarca e Boccaccio furono sicuramente artefici dello splendore e della dignità di questa lingua, tanto ‘che parve che non lasciassero speranza di scriver bene, se non à chi gl'imitasse’. Il Bembo fu tra i primi grammatici di questa lingua; l'autore stesso ne ha trattato nei Tre Discorsi al Dolce, ma intende più compiutamente trattare la materia, riunendo tutte le regole che sono state scritte da altri, integrandole con proprie osservazioni e destinandole a coloro che vogliono ‘regolatamente’ scrivere e parlare. Intento dell'autore è quello di indurre molti a studiare questa lingua, che, ormai ricca e bella quanto quelle dalle quali deriva e dalle quali ‘ha preso il suo accrescimento’, ha avuto grandi poeti (Ariosto, Petrarca, Dante)  e scrittori (Guicciardini, Cavalcanti e altri)]. Libro Secondo (pp. 72-374) [Le parti del discorso: la lingua precede le sue leggi e dunque più che di regole si dovrebbe parlare di osservazioni. Se la nostra fosse lingua che per la prima volta si riducesse in regole e non derivata da nessun'altra, la ragione indurrebbe a considerare solo tre parti del discorso (‘Che le cose espresse dall'intelletto, et espresse dalla favella, sono solamente di tre sorti principali, et non più; cioè, ch'elle sono ò cose, ò operationi, ò non sono nè l'una, nè l'altra di dette due’). Secondo lo schema della grammatica latina, però, mantenuto anche dal Bembo, le parti del discorso considerate proprie della nostra lingua sono otto: nome, verbo, participio, pronome, ‘prepositione’, avverbio, ‘congiuntione’ e ‘intergettione’. Le ultime quattro sono invariabili (secondo i latini ‘indeclinabili’), le prime quattro invece sono variabili (‘declinabili’). La variazione è responsabile della maggior parte degli errori commessi da coloro che non conoscono bene la lingua toscana. Il nome: ‘è parte declinabile del parlamento; la qual sempre dinota alcuna cosa animata, ò senz'anima’. Quattro sono i suoi ‘accidenti’: il significato, il genere (con il quale va compreso l'articolo), il numero e, per non porre troppa distanza dal latino, il caso o ‘fine’. L'autore non crede che sia necessario includere fra gli ‘accidenti’ del nome, come invece hanno fatto altri grammatici prima di lui, la ‘spetie’ e la ‘figura’. Tre sono i principali generi del nome (‘del maschio’, ‘della femina’ e ‘neutro’), ma se ne possono individuare anche altri (il ‘comune’: ‘huomo’, l' ‘incerto’: ‘fine’, l' ‘universale’: ‘felice’ e il ‘promiscuo’: ‘aquila’). Il neutro esiste nonostante alcuni, compreso il Bembo, ne abbiano negato l'esistenza. Il genere dei nomi propri è riconoscibile di per sé, mentre quello dei nomi comuni è segnalato per lo più dagli articoli (‘il’, ‘lo’, ‘la’, ‘i’, ‘li’, ‘gli’, ‘le’ nel nominativo e nell'accusativo;  ‘del’, ‘della’, ‘de la’, ‘dei’, ‘de'‘, ‘de gli’, ‘delle’, ‘de le’, nel genitivo; ‘al’, ‘alla’, ‘à la’, ‘a i’, ‘a'‘, ‘à gli’, ‘alle’, ‘à le’, nel dativo; ‘dal’, ‘dalla’, ‘da la’, ‘da i’, ‘da'‘, ‘dagli’, ‘dalle’, ‘da le’, nell'ablativo). Degli articoli vengono date regole di formazione e d'uso in due ampi capitoli. I nomi possono essere singolari (o ‘del numero d'un solo’) o plurali: terminano sempre per vocale, tranne nei casi in cui nell'ultima sillaba compare una consonante liquida e perdono talvolta la vocale finale, tanto nel singolare che nel plurale. Le distinzioni che riguardano la classe dei nomi, oltre a quella per genere, sono quelle fra nomi propri (‘che si convengono a un solo’) e nomi ‘non propri’ o ‘impropri’ (‘quelli communi à molti’) e fra nomi sostantivi (‘che si reggono, ò stanno da se stessi senza bisogno d'altro nome’) e aggettivi (‘quelli, che per se stessi non istanno già mai, ma convien sempre che s'appoggino, ò aggiungano ad un nome sostantivo’). Pronomi: sono quelle voci che ‘variandosi per Generi, Numeri, et Casi, come i nomi, comprendono sempre sotto di se qualche nome, come Io, tu, Egli, colui, Noi, Voi, Essi, et gli altri tali’. Il pronome personale ‘lui’ è la forma  per i casi obliqui di ‘egli’ (talvolta ‘elli’), ‘ei’, ‘e' ‘; ‘lei’ è la forma con cui ‘si varia’ ‘ella’ nei casi obliqui; ‘loro’ si usa nei casi obliqui di ‘elli’ (in poesia, mai in prosa), ‘ei’, ‘eglino’ (solo in prosa e raramente), ‘essi’, ‘elle’ (usato talvolta anche nel quarto caso), ‘elleno’. Si tratta poi dei pronomi ‘cotesto’, ‘questo’, dei pronomi relativi, interrogativi (‘che servon per domandare’), indefiniti. La trattazione dei pronomi è intercalata da alcuni capitoli sui nomi eterocliti (‘et questi sono quei nomi, che nel torcersi, ò variarsi vanno diversi da gli altri nella schiera loro, nel secondo numero, cioè, che essendo il loro numero singolare di natura che debbia fare il plurale in un modo, lo faccia in un'altro’), sulle declinazioni e sul  troncamento di nomi e pronomi nella lingua italiana. I capitoli conclusivi della sezione riservata ai pronomi sono dedicati agli articoli che svolgono funzioni di pronome all'interno di frase (‘il’, ‘lo’, ‘li’, ‘gli’, ‘la’, ‘le’), sostituendo di fatto le forme ‘quello’, ‘quella’, ‘lui’, ‘lei’, ‘esso’, ‘essa’, e alle particelle pronominali. Verbi: ad essi è dedicata la parte più sostanziosa del secondo libro. Il verbo è considerato la principale parte del discorso: un verbo solo e un nome fanno ‘parlamento intero, et finito’. Anzi il verbo da solo, unico tra le parti del discorso, fa da solo ‘parlamento’. Del verbo sono studiate sette categorie: la ‘significatione’ (che si apprende parlando e ascoltando la nostra lingua o che si può trovare nel vocabolario generale), il ‘genere’, la ‘variatione’, i modi, i tempi, le persone, il numero. I modi verbali, secondo la terminologia latina volgarizzata, sono: ‘dimostrativo’, ‘comandativo’ (anche se poi è da preferire per consuetudine il nome di ‘imperativo’), ‘desiderativo’, ‘soggiuntivo’, ‘infinitivo’ (o ‘infinito’). Il ‘desiderativo’ è un modo superfluo, perché le sue voci sono nel ‘soggiuntivo’; solo per comodità viene mantenuto l'‘imperativo’. I tempi verbali sono la misura del movimento. Sono il presente, l'imperfetto, il passato (o ‘passato et finito’, o ‘preterito’, o ‘preterito perfetto’), il futuro (o ‘avenire’). I generi sono l'attivo e il passivo. I verbi assoluti hanno solo voce attiva. Impersonali sono i verbi che non hanno ‘persona operante’, e possono essere tali di per sé oppure posti ‘impersonalmente’. Il numero dei verbi varia a seconda delle persone che fanno le azioni, che possono essere una o più di una e di tre tipi (prima, seconda e terza). Le ‘congiogationi’ o ‘maniere’ (per usare la terminologia bembiana) dei verbi sono quattro e si riconoscono dalla penultima sillaba dell'infinito. I tempi hanno una variazione semplice e una composta. Un capitolo è dedicato alla regole generali relative alla formazione alla coniugazione verbale; seguono i capitoli relativi all'esemplificazione della variazione per ciascuna ‘maniera’. La prima persona dell'imperfetto indicativo termina in ‘-a’, e non come alcuni moderni usano, in ‘-o’, forma mai usata dai buoni autori. Nei capitoli successivi vengono esposte le regole relative alla forma passiva, ai verbi ‘sono’, ‘posso’, ‘debbo’, ‘ire’, ai diversi tipi di tempo passato, ai verbi impersonali. I participi: nella lingua italiana i participi sono di due tipi, attivo e passivo; variano come i nomi; possono essere usati ambedue in una costruzione particolare, quella assoluta, nella quale significano tempo. Il gerundio è usato spesso in alternanza col participio attivo, dal quale si forma, mutando l'ultima sillaba in ‘-do’. Pur ricorrendo praticamente nelle stesse costruzioni participio e gerundio non sono propriamente sinonimi: il primo esprime l'azione in potenza, il secondo l'azione in atto. Gli antichi usavano il gerundio in costruzioni con le preposizioni ‘con’, ‘in’; esistono anche costruzioni delle quali né il Bembo né altri hanno parlato: il gerundio con le voci dei verbi ‘andare’, ‘stare’, ‘venire’. L'avverbio: è l'elemento ‘quasi vicino ò presso al verbo, et questo perche quasi sempre par che la natura di queste voci in ciascuna lingua sia di mettersi vicine à i verbi, innanti o poi’; spesso tuttavia gli avverbi occorrono lontani dal verbo, soprattutto in poesia. Essi sono semplici (‘hieri’, ‘quì’) o derivati (‘altamente’, ‘similmente’). Ci sono poi ‘forme di dir’ usate avverbialmente (‘in brieve’, ‘poco stante’). La preposizione: ‘si mette sempr'avanti al nome’. Talune voci della nostra lingua possono essere avverbi e preposizioni (‘appresso’, ‘innanzi’). ‘Intergettione’: Bembo non la considera una parte del discorso, modificando quindi lo schema latino della classificazione, che invece l'aveva sottratta alla classe degli avverbi. Le interiezioni ‘sono segni d'alcune ò affettioni, ò passioni de gli animi nostri, come del dolore, della maraviglia, del riso, della compassione, et sì fatte’. Sono ‘Ah, ah ah, ahi, deh, oh, oi, oime, et oisè’. La congiunzione: precede il verbo, il nome o il pronome. Viene descritto in particolare l'uso di ‘conciosiacosache’, ‘accioche’, ‘et’]; Libro Terzo (pp. 375-456) [L'autore abbandona ogni controversia o disputa, per mettere ‘come in catena continuata tutta la Grammatica, et tutte le regole principali di tutte le parti di questa lingua’. Sono indicati anche i destinatari principali di questo libro: ‘Et finalmente questo Terzo Libro per la sua brevità, et per la sua chiarezza si è fatto perche serva alle Donne, à i fanciulli, ò gioveni, alle nationi straniere, et à tutti quelli che non sanno lettere Latine’. Potrà essere utile anche a coloro che conoscono in parte la lingua, come sintesi di tutto quello che sanno o intendono ritrovare, e a coloro che vorranno memorizzare precetti e regole senza rileggere per intero tutta la trattazione]. Libro Quarto (pp. 457-508) [L'ornamento è ‘fine’ e ‘suggello’ della grammatica e fondamento della retorica. Esso riguarda: la correttezza grammaticale; la scelta e la ricchezza lessicale; la varietà delle costruzioni; l'uso di esempi, comparazioni, proverbi, trasposizioni; l'accuratezza dello stile, che deve essere adeguato all'argomento trattato. Nei primi capitoli sono elencati i ‘vitij’ delle parole (‘replicatione’ della stessa parola o sillaba; ‘improprietà’ della parola; ‘sconvenevolezza’ e ‘tristo suono’) e delle ‘sentenze’(‘essere improprie’, ‘esser imperfette’, ‘esser lunghe’, ‘esser confuse’, ‘esser sconvenevoli’, ‘esser fuor di luogo’ ‘ò fuor di proposito, ociose, ò replicate’). I capitoli successivi sono dedicati all'ortografia in generale (‘modo di correttamente, regolatamente et ancora ornatamente scrivere, quello, che l'intelletto concepisce e la lingua pronuntia’), al rapporto dell'ortografia italiana con quella greca e quella latina, ad alcuni fenomeni ortografici (l'uso delle lettere ‘x’ e ‘y’), alle proposte di riforma ortografica (del Trissino e del Tolomei), ai dittonghi]. Libro Quinto (pp. 509-525) [Il quinto libro è costituito da un unico capitolo, in cui vengono elencati sistematicamente gli errori più comuni (‘quelle cose, che et nelle voci et nella scrittura sogliono mal'usarsi’) commessi da toscani e non toscani (‘coloro, i quali ò sono Toscani di natione, ò vi hanno fatto studio, et comunque sia si credono, ò almen procurano di voler parlare et scrivere perfettamente, et non lo fanno, ò per natural vitio della favella delle loro patrie, ò per non vi haver fatto tanto studio, che sia à bastanza, ò ancora per havere seguiti Auttori et maestri che n'hanno scritto confusamente, et (che più importa) imperfettamente et in molte cose contra le vere ragioni et regole, et contra l'auttorità sicurissima de' buoni autori’)]. Libro Sesto (pp. 526-551) [Vengono esposte le regole essenziali della retorica. La perfezione della lingua viene realizzata attraverso il rispetto delle regole, la chiarezza e l'ornamento. La chiarezza si pone alla fine dello scrivere secondo le regole e segna l'inizio per il poter scrivere ornatamente. L'ornamento, che può essere proprio di tutte le lingue e richiede regole comuni, consiste di tre operazioni: ‘togliere’ (o ‘diminuire’), ‘aggiungere’, ‘ordinare’ (o ‘disporre’). Prima e principale parte di esso è la ‘convenevolezza’. L'ornamento può essere nelle ‘voci sole’ (‘sinonime’, ‘amplificationi’, ‘epiteti’, ‘antiteti’, ‘metafore’) o nelle ‘voci congiunte insieme’ (come ad esempio le ‘circunlocutioni ò giri et circuiti di parole per formare un significato’). L'ornamento, poi, riguarda anche le apostrofi, le interrogazioni e le esclamazioni. Tutte le manifestazioni del parlare ornato sono sostenute dalla composizione, disposizione e collocazione delle parole, operazioni che riguardano ciò che viene comunemente definito ‘stile’ (‘il qual consiste nella positura delle voci, et nella qualità del suono, et ne i numeri de' tempi loro’). La definizione, seguita da una spiegazione dettagliata, del concetto di  ornamento chiude il libro: ‘Ornamento in qual si voglia cosa cosi corporea, come senza corpo, s'ha da dir che sia tutto quello che le si aggiunge non per bisogno ristrettamente, ma per delettatione, ò per utile’]. Libro Settimo (pp. 552-574) [Si affrontano essenzialmente tre argomenti: i sinonimi e il loro uso (tre sono le ragioni per usarli: l'intento di variare, di produrre ‘vaghezza’ e di aggiungere forza ed efficacia al discorso); gli epiteti (o aggettivi. Essi si aggiungono per ‘necessità d'espressione’ o ‘per vaghezza’); le figure (che possono essere universali o proprie di ciascuna lingua; sono per lo più deviazioni dalla norma, fatte non a caso ma ‘per sommo studio’). Per l'italiano sono soprattutto figure di costruzione; gli esempi sono tratti dalle opere di Boccaccio e Petrarca]

 

Apporto generale dell'opera

Obiettivo dell'autore e tipo di grammatica: I Commentarii sono un'opera composita: un saggio sul linguaggio, una trattazione grammaticale, un manuale di grammatica e un trattato di retorica. La trattazione grammaticale vera e propria è di tipo normativo (cfr. Scavuzzo 1996): l'autore espone ampiamente, corredandole di osservazioni personali, le regole della lingua italiana alle quali ciascuno scrivente dovrebbe attenersi per evitare errori grammaticali e forme dialettali.

 

Interessi specifici: Continuo è il confronto con la grammatica latina e con le lingue latina, greca ed ebrea. L'esposizione delle singole regole è preceduta quasi sempre da una breve discussione sulla terminologia, che serve a motivare le scelte dell'autore e a illustrare via via il suo rapporto con le trattazioni grammaticali latine e quelle volgari precedenti alla sua. L'indice analitico contiene anche le forme considerate errate.

-          Innovazioni terminologiche: Ruscelli accetta, oltre agli schemi, anche la terminologia latina, di cui adotta volgarizzamenti in uso non senza prospettare però possibili alternative (si considerino, ad esempio, le discussioni sui termini: ‘maschile’, ‘neutro’, ‘plurale’, ‘aggettivo’, ‘indeclinabile’) o semplificazioni.

 

-          Corpus di esempi: gli esempi sono tratti da opere di Petrarca, Boccaccio, Ariosto; non sempre il nome dell'autore è riportato. Numerosi sono anche gli esempi inventati.

 

Interesse generale:

-          Influenza subita: Il Bembo è continuamente citato come autorità, ma Ruscelli ha ben presente anche l'operato di altri grammatici: Gabriele (soprattutto per questioni terminologiche), Fortunio, Corso (citato a proposito della trattazione delle figure retoriche, insieme al Bembo e al Tomitano), Trissino (cfr. Poggi Salani 1988).

 

-          Influenza esercitata: I Commentarii non sono citati in trattazioni grammaticali successive, ma l'opera è ritenuta degna di nota, sebbene con qualche riserva, nei Fonti toscani di Orazio Lombardelli (1598: 49): ‘Il Ruscelli altresì può giovare et a' principianti, ed a gli introdotti, parlo, ne' Commentari, perche tratta la nostra Gramatica distesamente, declinando, e dando molti avvertimenti comuni, e utili. Ha ben certe particolari oppenioni, che se non gli passano agevolmente; e spende anco molte parole nel suo discorrere, havendo havuto per natura dell'Asiatico.’

 

Nota bibliografica

Lombardelli 1598: 49; Trabalza 1908: 135-138; Vitale 1984: ad indicem; Padley 1988: ad indicem; Poggi Salani 1988: 778; Trovato 1991: 288-290; Scavuzzo 1996; Bonomi 1998c: 34-35; Siekiera 1998; Poggiogalli 1999: ad indicem.