Sommario e contenuto dell’opera
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Il titolo De la lingua che si parla & scrive in Firenze è un’innovazione della prima edizione a cura, probabilmente,
non del Giambullari ma di Lorenzo Torrentino: la copia manoscritta donata
qualche anno prima dal Giambullari a Francesco de’ Medici portava infatti
il titolo, adottato da Bonomi nella ristampa del 1986, Regole della
lingua fiorentina. In otto libri l’opera tratta di fonetica e
morfologia (libri I-II), sintassi (libri III-VI), figure retoriche
(VII-VIII).
Allo illustriss. et eccellentiss. Principe il s. don Francesco
de Medici (pp. 3-6);
Pierfrancesco Giambullari al lettore benigno (pp. 7-8);
Al molto reverendo M. Pierfrancesco
Giambullari, amico suo carissimo Giovan Batista Gelli (pp. 9-10);
Ragionamento infra m. Cosimo Bartoli et Giovan Batista Gelli,
sopra le difficultà del mettere in Regole la nostra lingua (pp. 10-42);
Libro I. Lettere, sillabe, parole, nome, pronome, articolo,
verbo, participio [Si contano in diciannove le lettere
necessarie ad esprimere la lingua fiorentina (la ‘h’ è uno ‘spirito grasso’
che serve a distinguere fra ‘ci’ e ‘chi’) e in cinque le vocali. I
‘dittongi’ sono ‘vocali accozzate insieme et raccolte sotto ad un fiato’;
la sillaba è ‘un legamento ed accozzamento di più lettere’; la parola
‘legamento o accozzamento d’una o più sillabe, in una voce dimostrativa di
qualche cosa’. Il parlare è ‘una accomodata disposizione ed orditura di
parole, a significare qualche cosa’. Le parti del parlare sono nove: nome,
pronome, articolo, verbo, ‘adverbio’, participio, preposizione,
inframmesso, legatura. Nel primo libro vengono esaminate quelle che ‘o sono
o per la consuetudine almeno de’ Greci et Latini appariscono quasi che
declinabili’, cioè nome, pronome, articolo, verbo, participio] (pp. 43-104);
Libro II. Preposizione, avverbio, interiezione, congiunzione [Si esaminano le parti del discorso ‘che non furono mai
declinabili in qualsivoglia lingua’. Si precisa il significato e l’uso
delle preposizioni, distinte in ‘segni di casi’ (cioè ‘de, di, a, da’, che
sono semplici strumenti sintattici di indicatore dei casi) e ‘vere, o
schiette preposizioni’ (quelle dotate di senso proprio). Si distinguono gli
avverbi di luogo, tempo, ordinativi, divisivi, interrogativi, chiamativi,
responsivi, negativi, confermativi, concessivi, affermativi, giurativi,
esortativi, proibitivi, desiderativi, esclusivi (o ‘solitarij’),
congregativi, separativi, diversificativi, elettivi, qualitativi,
quantitativi, comparativi, remissivi, scemativi (o ‘imperfetti’),
dimostrativi, insegnativi, figurativi, dichiarativi, dubitativi, accidentali,
intentivi, personali, ‘similitudinarij’. Degli ‘inframessi’, cioè le
interiezioni, si esaminano alcune ‘spezie’ precisando che ‘se ne truovano
molte più ne’ ragionamenti degli huomini bassi che ne gli scritti degli
autori’: lieti, dolenti, timidi, ‘admirativi’, ricusativi, lodativi,
chiamativi, responsivi, ‘silenziarij’, derisivi, spaventativi, esclamativi,
pregativi, del riso. Anche ‘le spezie, o vogliamole dire nature della
legatura, sono molte’ e ‘altre appiccano, altre spiccano, altre sospendano,
altre appruovano, altre riempiono, ed altre fanno diversi effetti’. Tali
congiunzioni si dicono pertanto ‘copulative, separative, disgiuntive o
alternative, causali, continovative, soccontinovative, diffinitive,
assolutive o perfettive, collettive, adversative, elettive, diminutive,
approvative, continovative della dimanda, riempitive’] (pp. 105-37);
Libro III. Costruzione [Si definisce
‘debito componimento delle parti del parlare; ordinate e disposte infra
loro, in quello stesso modo, che ricerca la retta regola della grammatica.’
Si avverte poi che ‘la retta regola non è quella solamente, che i migliori
et più approvati scrittori osservarono ne’ loro scritti; il che ha luogo
propriamente nelle lingue già morte: ma quella ancora dello uso comune
delle persone qualificate, che la parlano, o che la scrivono ne’ tempi
nostri; et che la parleranno, o la scriverranno per lo advenire’. Vengono
esaminati fenomeni di concordanza e altre questioni: ‘accidenti della
costruzione’ (caso, genere, numero, persona, modo, tempo), ‘regole
generali’, ‘costruzione transitiva’, ‘costruzione degli appellativi’,
‘passaggio delli ambigui’, ‘passaggio de’ verbali’, ‘passaggio delli
agghiettivi’, ‘costruzzione delli infiniti’, ‘costruzzione de’
particulari’, ‘passaggio de’ superlativi’, ‘passaggio de’ numerali’,
‘disponimento de’ numerali’, ‘passaggio de’ verbali et participij’,
‘passaggio al genitivo’, ‘passaggio al dativo’, ‘passaggio a lo
accusativo’, ‘passaggio a lo ablativo’,
‘costruzzione de’ comparativi’, ‘de la costruzzione de’ pronomi’,
‘del ritorno de’ pronomi’, ‘passaggio della terza persona’, ‘costruzione di
tre persone terze insieme’, ‘passaggio delle persone’, ‘forza de’ pronomi
relativi’, ‘de la costruzione dello articolo’] (pp. 138-83);
Libro IV. Costruzione [È dedicato alla
‘costruzzione de’ verbi’, distinti in transitivi e intransitivi, e
articolati poi ‘in più spezie’. Essi ‘patiscono molte volte, certe
accompagnature generali, cioè un genitivo della possessione, un dativo
della proprietà’, etc. A una dettagliata descrizione delle ‘spezie’ seguono
osservazioni sulle ‘costruzzioni generali de’ verbi’ e sui verbi di ‘varia
costruzione’ dei quali si dà l’elenco in ordine alfabetico e corredato di
esempi molti dei quali tratti da Boccaccio] (pp. 184-228);
Libro V. Costruzione [È dedicato alla
‘costruzzione delle parti consignificative’, dette così ‘per non
significare in sé medesime cosa certa; ma in compagnia solamente delle
altre’. Si tratta delle preposizioni, delle quali viene data una lista
precisando il caso, o i casi, da cui possono essere seguite. Si esaminano
anche la ‘costruzzione degli avverbi’, la ‘costruzzione dello inframmesso’,
‘la costruzzione della legatura’. L’ultimo paragrafo ‘de’ punti’ è dedicato
alla punteggiatura: si distinguono ‘quattro maniere di punti, cioè sospiro,
punto comato, coma, et punto’, dei quali si descrive l’uso] (pp. 229-57);
Libro VI. Costruzione figurata: scambio [La ‘costruzzione figurata’ è ‘un componimento di parole, o
di sentenzie fuori de l’uso ordinario et comune; trovato piuttosto, per una
leggiadria et per un certo ornamento del parlare’. La voce ‘figura’ per
indicare una ‘forma del dire, abbellita con alcuna arte’ risale a
Quintiliano, e può riguardare la parola, la ‘costruzzione’ e la
‘sentenzia’, ma in quest’ultimo caso riguarda più l’oratore che il
grammatico. Le figure esaminate sono: ‘de lo scambio del nome’ (es.: ‘verde
per verzura’, p. 260); ‘de lo scambio del pronome’; ‘del che’ (es.:
‘ricorro al tempo che io vi vidi prima’, p. 269); ‘de lo scambio dello
articolo’; ‘de lo scambio del verbo’; ‘de lo scambio dello adverbio’; ‘de
lo scambio del participio’; ‘de lo scambio delle preposizioni’; ‘de lo
scambio della legatura’; ‘de’ sei accidenti dello scambio’; ‘de lo scambio
del caso’; ‘de lo scambio del genere’; ‘de lo scambio del numero’; ‘de lo
scambio della persona’; ‘de lo scambio del modo’; ‘de lo scambio del
tempo’] (pp. 258-99);
Libro VII. Costruzione figurata: figure di parola e di
costruzione [La figura della parola, che è ‘molto più
lecita al verso che alla prosa’, consiste in una ‘trasformazione e
tramutamento del vero essere d’una parola’, che si può fare in quattordici
maniere (elencate dal Giambullari). Per esempio con ‘l’aggiugninnanzi’, per
cui da ‘sciorre’ si ha ‘isciorre’, etc. Tutte erano già state esaminate dai
Greci e Latini. La figura della ‘costruzzione’ è ‘un modo di dire fuori de
lo ordinario, et fuori de lo uso consueto’, e può essere ‘viziosa’, cioè
con qualche difetto (ce ne sono ventisei tipi), oppure ‘senza mancamento
alcuno’] (pp. 300-45);
Libro VIII. Costruzione figurata: figure di sentenza [Sono figure difficili da ‘ridurre in ordine’ e il grammatico
può solo insegnare a ‘conoscerle, et non come et dove metterle in uso’. Si
tratta di 103 figure, ma non vuol dire, come sostiene Giambullari nelle
ultime righe dell’opera, ‘che non se ne truovino molte altre spezie’: egli
non procede nel continuare l’elenco ‘perché in sino a quest’ora, non me ne
sono venute più per le mani, che io le abbia advertite: et sì ancora,
perché egli è pur bene, lasciar sempre qualcosa agli altri’] (pp. 346-83);
Tavola [Indice delle parole chiave ed
elenco di voci greche].
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Apporto generale dell’opera
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Obiettivo
dell’autore e tipo di grammatica: L’opera rappresenta
la prima grammatica fiorentina (quella dell’Alberti era rimasta inedita e
pressoché sconosciuta) e concretizza, sebbene si tratti di un’opera
‘privata e particolare’, i ripetuti tentativi dell’Accademia Fiorentina,
istituzione di vitale importanza nella Firenze dei Medici, di produrre una
grammatica ‘ufficiale’ del fiorentino. Anche nel dichiarare lo scopo del
lavoro il Giambullari si richiama alla politica medicea, in particolare per
quanto riguarda i suoi intenti ‘espansionistici’: obiettivo del suo lavoro
infatti è insegnare il fiorentino ai non fiorentini (‘a’ forestieri’) e ‘a’
giovanetti che bramano di saper regolatamente parlare et scrivere, questa
dolcissima lingua nostra’. Sia il pubblico cui l’opera è rivolta, diverso
da quello solito degli studiosi e dei loro giovani discepoli, sia la
dichiarazione di voler insegnare a ‘parlare’ oltre che a scrivere,
rappresentano due innovazioni significative rispetto alle grammatiche
uscite in precedenza. Da sottolineare, all’inizio del III libro, la precisazione
su cosa si intenda per ‘retta regola della grammatica’: si dichiara infatti
che essa non si ricava soltanto dalla lingua usata dai migliori scrittori
del passato, ma anche da quella di uso comune fra le persone qualificate
che la parlano e scrivono nel tempo presente o futuro. Il contenuto
presenta anch’esso molti elementi di originalità: per esempio nei paradigmi
vengono elencate più forme possibili, dato che Giambullari deve fare i
conti con la lingua viva, e presentare quindi tutto il repertorio di forme
disponibili. Ampio spazio viene dedicato alla sintassi, al cui interno
risultano particolarmente approfondite le parti sulla costruzione dei verbi
e delle preposizioni, e alle figure retoriche: proprio l’interesse verso
questo aspetto della lingua, cui sono rivolti gli ultimi due libri,
richiama l’attenzione del lettore sulla lingua letteraria, e contempera
quella verso l’uso della lingua parlata, alla cui descrizione è dedicata
gran parte del lavoro. Notevole è la distinzione tra forma e significato
alla quale si fa riferimento soprattutto nel I libro.
Interessi
specifici:
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Innovazioni terminologiche:
Giambullari si discosta dalla terminologia tradizionale nella denominazione
della interiezione e della congiunzione, dette rispettivamente ‘inframesso’
(voce fiorentina nata nel XV secolo e impiegata in precedenza, nella forma
‘intramesso’, per indicare voce o frase chiusa fra parentesi) e ‘legatura’,
usata qui per la prima volta in senso grammaticale.
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Corpus di esempi: Nonostante
Giambullari dichiari di essersi rifatto al ‘vero uso de gli antichi buoni
scrittori, et de’ miglior moderni che abbiamo’, gli esempi letterari sono
tratti quasi unicamente dal Canzoniere
e dai Trionfi del Petrarca, il più citato, dalla Commedia di
Dante, e dal Decameron di Boccaccio. Numerosi sono poi gli exempla
ficta rappresentati da frasi della lingua viva tratte sia dal registro
medio, quotidiano, sia da registri più bassi, verso i quali il giudizio di
Giambullari alterna fra riprovazione e neutralità.
Interesse
generale:
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Influenza subita: Nella prefazione dedicata ‘al lettore benigno’
Giambullari dichiara di aver fatto riferimento per ‘l’ordine, i concetti et
le parole’ al De Emendata structura latini sermonis di Thomas
Linacre, umanista inglese (1460 ca.-1524), la cui opera, come testimonia
anche il Varchi, circolava a Firenze. Giambullari segue Linacre nei primi
cinque libri sia per il tipo di trattazione fornita, poco schematica e a
tratti troppo discorsiva fino a diventare prolissa, sia per il contenuto,
che in molti luoghi corrisponde esattamente alla traduzione del testo di
Linacre. Per gli ultimi due libri, dedicati alle figure retoriche, il
riferimento è invece ad alcuni trattati di retorica latina: il De
figuris sententiarum et elocutionis di Publio Rutilio Lupo, il De
figuris sententiarum et elocutionis di Aquila Romano, il Liber de
figuris sententiarum et elocutionis, il De schematis lexeos e il
De schematis dianoeas di Giulio Rufiniano, e l’Ars grammatica di
Diomede. Nel corso di tutto il testo emergono inoltre riferimenti ai
maggiori grammatici latini, mediati attraverso Linacre o citati
direttamente come Quintiliano, Prisciano e Donato. Non sono riscontrabili
invece riferimenti diretti o indiretti a opere grammaticali volgari
precedenti, a eccezione di un richiamo alle Prose di Bembo
poco significativo sul piano generale, e in sostanza l’affinità con le
grammatiche volgari precedenti risulta contenuta.
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Influenza esercitata: Negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione la
grammatica di Giambullari ebbe un successo molto scarso, probabilmente a
causa della sua apertura verso l’uso vivo, e per la trattazione poco
schematica, come testimoniano il ridotto numero di edizioni e ristampe
rispetto a quello delle opere di Fortunio,
Bembo,
Dolce,
etc. Solo nel 1568 Orazio Lombardelli ne loderà l’opera nel proemio al
trattato Della pronunzia toscana e poi ne I fonti toscani (1598). Altri estimatori saranno
Scipione Bargagli nel Turamino, ovvero del parlare e dello scriver
sanese (1602) e Michele
Poccianti nel Catalogus Scriptorum Florentinorum (1589).
Probabilmente l’indifferenza da parte degli altri accademici fiorentini, ad
esempio Varchi, sarà stata dovuta a contrasti di varia natura, non esclusa
una certa ostilità personale, o alla distanza fra le diverse posizioni
teoriche e normative, come nel caso di Borghini e Salviati. Da sottolineare
che né Ruscelli né Doni né Cittadini citano l’opera del Giambullari.
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