De la lingua che si parla & scrive in Firenze

1551

 

Autore

Giambullari, Pierfrancesco

Titolo

De la lingua che si parla & scrive in Firenze

Stampe

Prima edizione:

[1551?]: De la lingua che si parla & scrive in Firenze. Et uno dialogo di Giovan Batista Gelli sopra la difficultà dello ordinare detta lingua. In Firenze [Lorenzo Torrentino].

Biblioteca dell’Accademia della Crusca - Firenze

Biblioteca Marucelliana - Firenze

Biblioteca Nazionale Centrale - Firenze

Biblioteca Riccardiana - Firenze

 

Edizioni esaminate

[1551?] (prima edizione): in Firenze, [Lorenzo Torrentino].

 

Sommario e contenuto dell’opera

Il titolo De la lingua che si parla & scrive in Firenze è un’innovazione della prima edizione a cura, probabilmente, non del Giambullari ma di Lorenzo Torrentino: la copia manoscritta donata qualche anno prima dal Giambullari a Francesco de’ Medici portava infatti il titolo, adottato da Bonomi nella ristampa del 1986, Regole della lingua fiorentina. In otto libri l’opera tratta di fonetica e morfologia (libri I-II), sintassi (libri III-VI), figure retoriche (VII-VIII).

 

Allo illustriss. et eccellentiss. Principe il s. don Francesco de Medici (pp. 3-6);

 

Pierfrancesco Giambullari al lettore benigno (pp. 7-8);

 

Al molto reverendo M. Pierfrancesco Giambullari, amico suo carissimo Giovan Batista Gelli (pp. 9-10);

 

Ragionamento infra m. Cosimo Bartoli et Giovan Batista Gelli, sopra le difficultà del mettere in Regole la nostra lingua (pp. 10-42);

 

Libro I. Lettere, sillabe, parole, nome, pronome, articolo, verbo, participio [Si contano in diciannove le lettere necessarie ad esprimere la lingua fiorentina (la ‘h’ è uno ‘spirito grasso’ che serve a distinguere fra ‘ci’ e ‘chi’) e in cinque le vocali. I ‘dittongi’ sono ‘vocali accozzate insieme et raccolte sotto ad un fiato’; la sillaba è ‘un legamento ed accozzamento di più lettere’; la parola ‘legamento o accozzamento d’una o più sillabe, in una voce dimostrativa di qualche cosa’. Il parlare è ‘una accomodata disposizione ed orditura di parole, a significare qualche cosa’. Le parti del parlare sono nove: nome, pronome, articolo, verbo, ‘adverbio’, participio, preposizione, inframmesso, legatura. Nel primo libro vengono esaminate quelle che ‘o sono o per la consuetudine almeno de’ Greci et Latini appariscono quasi che declinabili’, cioè nome, pronome, articolo, verbo, participio] (pp. 43-104);

 

Libro II. Preposizione, avverbio, interiezione, congiunzione [Si esaminano le parti del discorso ‘che non furono mai declinabili in qualsivoglia lingua’. Si precisa il significato e l’uso delle preposizioni, distinte in ‘segni di casi’ (cioè ‘de, di, a, da’, che sono semplici strumenti sintattici di indicatore dei casi) e ‘vere, o schiette preposizioni’ (quelle dotate di senso proprio). Si distinguono gli avverbi di luogo, tempo, ordinativi, divisivi, interrogativi, chiamativi, responsivi, negativi, confermativi, concessivi, affermativi, giurativi, esortativi, proibitivi, desiderativi, esclusivi (o ‘solitarij’), congregativi, separativi, diversificativi, elettivi, qualitativi, quantitativi, comparativi, remissivi, scemativi (o ‘imperfetti’), dimostrativi, insegnativi, figurativi, dichiarativi, dubitativi, accidentali, intentivi, personali, ‘similitudinarij’. Degli ‘inframessi’, cioè le interiezioni, si esaminano alcune ‘spezie’ precisando che ‘se ne truovano molte più ne’ ragionamenti degli huomini bassi che ne gli scritti degli autori’: lieti, dolenti, timidi, ‘admirativi’, ricusativi, lodativi, chiamativi, responsivi, ‘silenziarij’, derisivi, spaventativi, esclamativi, pregativi, del riso. Anche ‘le spezie, o vogliamole dire nature della legatura, sono molte’ e ‘altre appiccano, altre spiccano, altre sospendano, altre appruovano, altre riempiono, ed altre fanno diversi effetti’. Tali congiunzioni si dicono pertanto ‘copulative, separative, disgiuntive o alternative, causali, continovative, soccontinovative, diffinitive, assolutive o perfettive, collettive, adversative, elettive, diminutive, approvative, continovative della dimanda, riempitive’] (pp. 105-37);

 

Libro III. Costruzione [Si definisce ‘debito componimento delle parti del parlare; ordinate e disposte infra loro, in quello stesso modo, che ricerca la retta regola della grammatica.’ Si avverte poi che ‘la retta regola non è quella solamente, che i migliori et più approvati scrittori osservarono ne’ loro scritti; il che ha luogo propriamente nelle lingue già morte: ma quella ancora dello uso comune delle persone qualificate, che la parlano, o che la scrivono ne’ tempi nostri; et che la parleranno, o la scriverranno per lo advenire’. Vengono esaminati fenomeni di concordanza e altre questioni: ‘accidenti della costruzione’ (caso, genere, numero, persona, modo, tempo), ‘regole generali’, ‘costruzione transitiva’, ‘costruzione degli appellativi’, ‘passaggio delli ambigui’, ‘passaggio de’ verbali’, ‘passaggio delli agghiettivi’, ‘costruzzione delli infiniti’, ‘costruzzione de’ particulari’, ‘passaggio de’ superlativi’, ‘passaggio de’ numerali’, ‘disponimento de’ numerali’, ‘passaggio de’ verbali et participij’, ‘passaggio al genitivo’, ‘passaggio al dativo’, ‘passaggio a lo accusativo’, ‘passaggio a lo ablativo’,  ‘costruzzione de’ comparativi’, ‘de la costruzzione de’ pronomi’, ‘del ritorno de’ pronomi’, ‘passaggio della terza persona’, ‘costruzione di tre persone terze insieme’, ‘passaggio delle persone’, ‘forza de’ pronomi relativi’, ‘de la costruzione dello articolo’] (pp. 138-83);

 

Libro IV. Costruzione [È dedicato alla ‘costruzzione de’ verbi’, distinti in transitivi e intransitivi, e articolati poi ‘in più spezie’. Essi ‘patiscono molte volte, certe accompagnature generali, cioè un genitivo della possessione, un dativo della proprietà’, etc. A una dettagliata descrizione delle ‘spezie’ seguono osservazioni sulle ‘costruzzioni generali de’ verbi’ e sui verbi di ‘varia costruzione’ dei quali si dà l’elenco in ordine alfabetico e corredato di esempi molti dei quali tratti da Boccaccio] (pp. 184-228);

 

Libro V. Costruzione [È dedicato alla ‘costruzzione delle parti consignificative’, dette così ‘per non significare in sé medesime cosa certa; ma in compagnia solamente delle altre’. Si tratta delle preposizioni, delle quali viene data una lista precisando il caso, o i casi, da cui possono essere seguite. Si esaminano anche la ‘costruzzione degli avverbi’, la ‘costruzzione dello inframmesso’, ‘la costruzzione della legatura’. L’ultimo paragrafo ‘de’ punti’ è dedicato alla punteggiatura: si distinguono ‘quattro maniere di punti, cioè sospiro, punto comato, coma, et punto’, dei quali si descrive l’uso] (pp. 229-57);

 

Libro VI. Costruzione figurata: scambio [La ‘costruzzione figurata’ è ‘un componimento di parole, o di sentenzie fuori de l’uso ordinario et comune; trovato piuttosto, per una leggiadria et per un certo ornamento del parlare’. La voce ‘figura’ per indicare una ‘forma del dire, abbellita con alcuna arte’ risale a Quintiliano, e può riguardare la parola, la ‘costruzzione’ e la ‘sentenzia’, ma in quest’ultimo caso riguarda più l’oratore che il grammatico. Le figure esaminate sono: ‘de lo scambio del nome’ (es.: ‘verde per verzura’, p. 260); ‘de lo scambio del pronome’; ‘del che’ (es.: ‘ricorro al tempo che io vi vidi prima’, p. 269); ‘de lo scambio dello articolo’; ‘de lo scambio del verbo’; ‘de lo scambio dello adverbio’; ‘de lo scambio del participio’; ‘de lo scambio delle preposizioni’; ‘de lo scambio della legatura’; ‘de’ sei accidenti dello scambio’; ‘de lo scambio del caso’; ‘de lo scambio del genere’; ‘de lo scambio del numero’; ‘de lo scambio della persona’; ‘de lo scambio del modo’; ‘de lo scambio del tempo’] (pp. 258-99);

 

Libro VII. Costruzione figurata: figure di parola e di costruzione [La figura della parola, che è ‘molto più lecita al verso che alla prosa’, consiste in una ‘trasformazione e tramutamento del vero essere d’una parola’, che si può fare in quattordici maniere (elencate dal Giambullari). Per esempio con ‘l’aggiugninnanzi’, per cui da ‘sciorre’ si ha ‘isciorre’, etc. Tutte erano già state esaminate dai Greci e Latini. La figura della ‘costruzzione’ è ‘un modo di dire fuori de lo ordinario, et fuori de lo uso consueto’, e può essere ‘viziosa’, cioè con qualche difetto (ce ne sono ventisei tipi), oppure ‘senza mancamento alcuno’] (pp. 300-45);

 

Libro VIII. Costruzione figurata: figure di sentenza [Sono figure difficili da ‘ridurre in ordine’ e il grammatico può solo insegnare a ‘conoscerle, et non come et dove metterle in uso’. Si tratta di 103 figure, ma non vuol dire, come sostiene Giambullari nelle ultime righe dell’opera, ‘che non se ne truovino molte altre spezie’: egli non procede nel continuare l’elenco ‘perché in sino a quest’ora, non me ne sono venute più per le mani, che io le abbia advertite: et sì ancora, perché egli è pur bene, lasciar sempre qualcosa agli altri’] (pp. 346-83);

 

Tavola [Indice delle parole chiave ed elenco di voci greche].

 

Apporto generale dell’opera

Obiettivo dell’autore e tipo di grammatica: L’opera rappresenta la prima grammatica fiorentina (quella dell’Alberti era rimasta inedita e pressoché sconosciuta) e concretizza, sebbene si tratti di un’opera ‘privata e particolare’, i ripetuti tentativi dell’Accademia Fiorentina, istituzione di vitale importanza nella Firenze dei Medici, di produrre una grammatica ‘ufficiale’ del fiorentino. Anche nel dichiarare lo scopo del lavoro il Giambullari si richiama alla politica medicea, in particolare per quanto riguarda i suoi intenti ‘espansionistici’: obiettivo del suo lavoro infatti è insegnare il fiorentino ai non fiorentini (‘a’ forestieri’) e ‘a’ giovanetti che bramano di saper regolatamente parlare et scrivere, questa dolcissima lingua nostra’. Sia il pubblico cui l’opera è rivolta, diverso da quello solito degli studiosi e dei loro giovani discepoli, sia la dichiarazione di voler insegnare a ‘parlare’ oltre che a scrivere, rappresentano due innovazioni significative rispetto alle grammatiche uscite in precedenza. Da sottolineare, all’inizio del III libro, la precisazione su cosa si intenda per ‘retta regola della grammatica’: si dichiara infatti che essa non si ricava soltanto dalla lingua usata dai migliori scrittori del passato, ma anche da quella di uso comune fra le persone qualificate che la parlano e scrivono nel tempo presente o futuro. Il contenuto presenta anch’esso molti elementi di originalità: per esempio nei paradigmi vengono elencate più forme possibili, dato che Giambullari deve fare i conti con la lingua viva, e presentare quindi tutto il repertorio di forme disponibili. Ampio spazio viene dedicato alla sintassi, al cui interno risultano particolarmente approfondite le parti sulla costruzione dei verbi e delle preposizioni, e alle figure retoriche: proprio l’interesse verso questo aspetto della lingua, cui sono rivolti gli ultimi due libri, richiama l’attenzione del lettore sulla lingua letteraria, e contempera quella verso l’uso della lingua parlata, alla cui descrizione è dedicata gran parte del lavoro. Notevole è la distinzione tra forma e significato alla quale si fa riferimento soprattutto nel I libro.

 

Interessi specifici:

-          Innovazioni terminologiche: Giambullari si discosta dalla terminologia tradizionale nella denominazione della interiezione e della congiunzione, dette rispettivamente ‘inframesso’ (voce fiorentina nata nel XV secolo e impiegata in precedenza, nella forma ‘intramesso’, per indicare voce o frase chiusa fra parentesi) e ‘legatura’, usata qui per la prima volta in senso grammaticale.

 

-          Corpus di esempi: Nonostante Giambullari dichiari di essersi rifatto al ‘vero uso de gli antichi buoni scrittori, et de’ miglior moderni che abbiamo’, gli esempi letterari sono tratti  quasi unicamente dal Canzoniere e dai Trionfi del Petrarca, il più citato, dalla Commedia di Dante, e dal Decameron di Boccaccio. Numerosi sono poi gli exempla ficta rappresentati da frasi della lingua viva tratte sia dal registro medio, quotidiano, sia da registri più bassi, verso i quali il giudizio di Giambullari alterna fra riprovazione e neutralità.

 

Interesse generale:

-          Influenza subita: Nella prefazione dedicata ‘al lettore benigno’ Giambullari dichiara di aver fatto riferimento per ‘l’ordine, i concetti et le parole’ al De Emendata structura latini sermonis di Thomas Linacre, umanista inglese (1460 ca.-1524), la cui opera, come testimonia anche il Varchi, circolava a Firenze. Giambullari segue Linacre nei primi cinque libri sia per il tipo di trattazione fornita, poco schematica e a tratti troppo discorsiva fino a diventare prolissa, sia per il contenuto, che in molti luoghi corrisponde esattamente alla traduzione del testo di Linacre. Per gli ultimi due libri, dedicati alle figure retoriche, il riferimento è invece ad alcuni trattati di retorica latina: il De figuris sententiarum et elocutionis di Publio Rutilio Lupo, il De figuris sententiarum et elocutionis di Aquila Romano, il Liber de figuris sententiarum et elocutionis, il De schematis lexeos e il De schematis dianoeas di Giulio Rufiniano, e l’Ars grammatica di Diomede. Nel corso di tutto il testo emergono inoltre riferimenti ai maggiori grammatici latini, mediati attraverso Linacre o citati direttamente come Quintiliano, Prisciano e Donato. Non sono riscontrabili invece riferimenti diretti o indiretti a opere grammaticali volgari precedenti, a eccezione di un richiamo alle Prose di Bembo poco significativo sul piano generale, e in sostanza l’affinità con le grammatiche volgari precedenti risulta contenuta.

 

-          Influenza esercitata: Negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione la grammatica di Giambullari ebbe un successo molto scarso, probabilmente a causa della sua apertura verso l’uso vivo, e per la trattazione poco schematica, come testimoniano il ridotto numero di edizioni e ristampe rispetto a quello delle opere di Fortunio, Bembo, Dolce, etc. Solo nel 1568 Orazio Lombardelli ne loderà l’opera nel proemio al trattato Della pronunzia toscana e poi ne I fonti toscani (1598). Altri estimatori saranno Scipione Bargagli nel Turamino, ovvero del parlare e dello scriver sanese (1602) e Michele Poccianti nel Catalogus Scriptorum Florentinorum (1589). Probabilmente l’indifferenza da parte degli altri accademici fiorentini, ad esempio Varchi, sarà stata dovuta a contrasti di varia natura, non esclusa una certa ostilità personale, o alla distanza fra le diverse posizioni teoriche e normative, come nel caso di Borghini e Salviati. Da sottolineare che né Ruscelli né Doni né Cittadini citano l’opera del Giambullari.

 

Bibliografia

Trabalza 1908: ad indicem; Fiorelli 1956; Rossi A. 1966-67; Bonomi 1978; Bonomi 1982; Vitale 1984: 84-85 e passim; Giambullari 1986; Lepschy 1990: II 205, 221-26; Marazzini 1993: 163-68 e passim; Patota 1993: 111-12; Bonomi 1998a; Maraschio 1998; Padley 1988; Marazzini 1999: 68-70 e passim; Poggiogalli 1999: ad indicem.