Sommario e contenuto dell’opera
|
L’opera
si divide in otto capitoli articolati, rispettivamente, in paragrafi
recanti a loro volta il titolo dell’argomento trattato: ‘De le lettere, De
l’articolo, Del nome, Del verbo, Del participio, Del pronome, De la preposizione,
De la congiunzione’.
De
le lettere
[comprende i paragrafi: De li accenti; De le parole. Si elencano le
trentatré lettere dell’alfabeto, delle quali 28 sono dette ‘significative’
cioè ‘rappresentative de li elementi de la voce’. Di queste, sette sono le
vocali, le rimanenti ventuno sono consonanti, tredici sono i dittonghi, uno
il trittongo. Si propone anche una distinzione delle consonanti secondo il
modo di articolazione in mute (tenui, mezzane, grasse), liquide e
sibilanti] (pp. nn.);
De l’articolo [Comprende i paragrafi: Un’altro
mascolino; Il feminino. Ha genere (maschile e femminile), caso (dritto,
cioè nominativo, e cinque obliqui: genitivo, dativo, causativo, vocativo,
ablativo) e numero (singolare e plurale). I nomi tuttavia sono ‘variati per
questi casi solamente nel senso, e non ne la voce’, e per indicare i casi
si usano le preposizioni] (pp. nn.);
Del nome [Con i paragrafi: Primo ordine;
Secondo ordine; Terzo ordine; Quarto ordine; De li adjettivi overo
epitheti; De i numerali; De i relativi et interrogativi; De i derivativi. I
nomi si distinguono in ‘Sustantivi’, quando denotano la sostanza (‘propri’
se si tratta della sostanza prima o propria di ciascuna cosa, ‘appellativi’
se si tratta della seconda, comune), ‘adjettivi o epitheti’, quando
indicano accidenti, ‘equivoci’ se denotano diverse cose sotto una voce
sola, ‘univoci’ se ‘in diverse voci dinotano una cosa medesima’,
‘interrogativi’ se si usano per chiedere, ‘relativi’ per rispondere,
‘infiniti’ quelli che non determinano la persona, ‘numerali’ quando
indicano il numero. I nomi hanno genere, numero, caso, specie (‘primitiva
come è Dio, derivativa come è divino’), figura (‘simplice come è poggio,
composta, com’è bel poggio’). Sulla base della terminazione, del genere e
dell’uso dell’articolo si descrivono, in altrettanti paragrafi, cinque
ordini di nomi] (pp. nn.);
Del verbo [Con i paragrafi: De le persone,
numeri e figure; Repilogazione; De la prima congiugazione; De la seconda
congiugazione; Declinazione di tempi, modi e persone; La attiva; Il tempo
che ha avenire; Il tempo passato e non compito; Il tempo passato
indeterminato; Il tempo passato di molto; Il presente del passivo;
L’avenire; Il passato non compito; Il passato di poco; Il passato di molto;
Il presente dell’attivo; Il passato non compito; Il passato indeterminato;
Il presente dell’attivo; L’avenire; Il passato non compito; Il passato
indeterminato; Il presente del verbo sustantivo; L’avenire; Il passato non
compito; Il passato indeterminato; Il passato di poco; Il passato di molto;
Il presente dell’altro verbo sustantivo; L’avenire; Il passato non compito;
Il passato di poco; Il passato di molto; Del verbo impersonale; L’avenire;
Il passato indeterminato; Il passato di poco; Il passato di molto; Di
alcune diverse terminazioni de i verbi.
Viene proposta una
distinzione per genere o significazione in verbi attivi, passivi e neutri
(‘come è, vivo, dormo’), e per specie in verbi primitivi (es. ‘dormo’) e
derivativi (es. ‘dormackio’). Si riconoscono i tempi ‘presente’, ‘avenire’,
‘passato non compito’, ‘passato indeterminato’, ‘passato di poco’, ‘passato
di molto’. I modi sono ‘dimostrativo’, ‘comandativo’, ‘desiderativo’,
‘soggiuntivo’ (detto ‘soggiuntivo redditivo’ quando ‘rende la causa del
dubbio’, es. ‘s’io fosse allegro canterei’), ‘infinito’. Le persone sono
prima, seconda e terza; i numeri singolare e plurale; le figure ‘simplice’
e composta. Si distinguono tre coniugazioni] (pp. nn.);
Del participio [Comprende i paragrafi: Del participio
del passato; Del participio del presente. Il participio si chiama così
perché partecipa sia del verbo sia del nome. Ha significazione
(attiva/passiva), tempo (presente/passato), genere (‘masculino’/
‘feminino’), caso (nominativo, genitivo, ecc.), numero
(‘singulare’/plurale), figura (‘simplice’/composta). Il participio
“proprio” della lingua italiana è quello passato che ‘vien ad havere cinque
potenzie, cioè la attiva, la passiva, e quella del passato, e del presente,
e de l’avenire’] (pp. nn.);
Del pronome [Si distinguono i paragrafi: De i
pronomi primitivi; De i pronomi de la terza persona che discernono genere;
De i pronomi reciprochi; De i pronomi possessivi; De le particule
pronominali. Secondo la voce si distingue in ‘primitivo’ (es. io, tu, sè) e
‘derivativo’ (es. mio, tuo, suo); secondo la significazione in
dimostrativi, relativi, reciprochi, possessivi; secondo il genere in
‘masculini’ e ‘feminini’; secondo la persona in prima, seconda e terza;
secondo la figura in semplice e composta, secondo il numero ‘come quelli
dei nomi’] (pp. nn.);
De la preposizione [Come le congiunzioni, le
preposizioni sono indeclinabili. Non hanno significato proprio, ma mutano
la funzione del nome davanti al quale sono poste (es. ‘in mare’) o
addirittura il significato (es. ‘in-certo’ = ‘non certo’). Se non è
preposta a nome diventa avverbio; così differisce ‘che tanti affanni huom
mai sotto la luna’ (si noti che questa citazione da Petrarca, Canz.
237.10 è l’unico esempio d’autore, anche se non dichiarato, usato dal
Trissino nella Grammatichetta) con ‘tanto fece, che s’el messe
sotto’. Si distinguono in primitive (es. ‘apò’) e derivative (es.
‘apresso’), simplici (es. ‘e’) e composte (es. ‘intrà’)] (pp. nn.);
De lo adverbio [Indeclinabile, l’avverbio si pone
‘appresso il verbo’ e ha la stessa funzione che hanno i nomi epiteti per i
nomi appellativi: ‘come è homo bono, vive bene’. Alcuni sono primitivi (es.
‘si’), altri derivativi (es. ‘dottamente’); alcuni semplici (es. ‘mai’),
altri composti (es. ‘sempremai’), altri da composti (es. ‘indottamente’).
Pertanto hanno specie, figura, e significazione: si distinguono avverbi di
‘loco’, tempo, qualità, quantità, congregativi, discretivi, ordinativi, di
similitudine, comparativi, superlativi, intensivi, remissivi,
‘affirmativi’, negativi, ‘prohibitivi’, ‘excettivi’, ‘iurativi’,
‘exhortativi’, desiderativi, dubitativi, interrogativi, dimostrativi, da
‘kiamare’, ‘dikiarativi’, ‘admirativi’, ‘indignativi’, di dolore, di
‘allegreza’, di timore. Trissino dichiara di aver voluto seguire i greci
nell’includere gli ultimi cinque tipi fra gli avverbi anziché considerarli,
come fecero i latini, interiezioni] (pp. nn.);
De la congiunzione [Parte indeclinabile dell’orazione,
congiunge e dispone le altre parti e ‘ad esse vigore e ordine reca’. Ha
figura ‘simplice’ (es. ‘che’) e composta (es. ‘ben chè’), e specie
copulativa, continuativa, sottocontinuativa, aggiuntiva, causale,
effettiva, ‘approbativa’, disgiuntiva, sottodisgiuntiva, discretiva,
‘adversativa’, ‘collettiva ovvero razionale’, dubitativa, completiva] (pp.
nn.).
|
Apporto generale dell’opera
|
Obiettivo
dell’autore e tipo di grammatica: Le finalità didattiche perseguite dal Trissino,
sebbene non esplicitate dall’autore, traspaiono soprattutto dalla struttura
schematica ed essenziale della trattazione che consiste in un elenco di
forme inserite in uno schema classificatorio e corredate non da esempi
d’autore ma da frasi coniate dallo stesso Trissino. Il modello di lingua
proposto e descritto riflette la posizione ‘italianista’ dell’autore: forme
della tradizione toscana coesistono con forme appartenenti alla lingua
cortigiana e forme della koinè letteraria e cancelleresca (in Bonomi 1998a:
333 si citano alcune forme verbali, come ‘leggemo’, ‘sentimo’, ‘honoreria’
e ‘honoreressimo’).
Interessi
specifici: Trissino mira a
ribadire la propria riforma ortografica, già sostenuta del resto anche in
opere precedenti, quali l'Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne
la lingua italiana, pubblicata nel 1524. Per la definizione delle parti
del discorso Trissino dichiara esplicitamente di rifarsi alla grammatica
greca (in particolare) e latina. Per il legame, più volte dichiarato, tra
‘lingua’ e ‘sustanza delle cose e realtà’: il richiamo è ad Aristotele.
-
Innovazioni
terminologiche. Trissino
riprende dal modello di Prisciano la distinzione di otto parti del discorso
(articolo, nome, verbo, participio, pronome, preposizione, congiunzione e
avverbio, che comprende l'interezione). Nella categoria del nome sono
compresi anche l’aggettivo, gli interrogativi, i relativi, gli infiniti, i
numerali. La categoria dell’avverbio comprende anche l’interiezione.
Consistente è l’uso di termini grammaticali di derivazione latina, con
qualche innovazione per quanto riguarda il nome di tempi e modi verbali
(es. ‘Passato di poco / di molto’) e (‘soggiuntivo redditivo’)
(corrispondente al condizionale). Nella prima edizione del 1529 viene inoltre
introdotto, forse per la prima volta (cfr. Trovato 1994: 81n) il termine di
origine greca ‘apostrofo’ al posto di ‘accento’ o ‘rivolto’ e ‘rivorsato’
ancora usati in pieno Cinquecento.
-
Corpus di esempi. Le frasi esemplificative sono
molto rare e create dallo stesso Trissino, con l’eccezione di una citazione
da Petrarca (ma non riconosciuta come tale da Petrarca) contenuta nel
capitolo dedicato alla Preposizione: ‘che tanti affanni huom mai sotto la
luna’ (dal Canzoniere 237.10).
Interesse
generale: La Grammatichetta
offre l’esempio di quell’ideale di lingua comune italiana che si opponeva
non solo alla linea di Bembo,
destinata a prevalere, ma anche, tra gli altri, a quella fiorentinista di
Alessandro de’ Pazzi e a quella toscanista di Claudio Tolomei. L’opera si
inserisce in una serie di testi pubblicati dal Trissino nel volgere di
pochi mesi a partire dal Castellano, uscito negli ultimi giorni del
1528, e stampati dallo stesso autore con i caratteri speciali greci sopra
menzionati.
-
Influenza subita. Come dichiara lo stesso Trissino,
forte è stata l’influenza esercitata dalla tradizione greca, alla quale si deve
per esempio l’inserimento delle interiezioni nella categoria dell’avverbio.
Notevole è poi l’influenza di Prisciano e Donato, specialmente per quanto
riguarda la sistematicità della trattazione.
-
Influenza
esercitata. Riferimenti
alla riforma ortografica del Trissino si rintracciano già a partire dal XVI
secolo, ma più rilevanti sono quelli relativi alla sua concezione
italianista del volgare, così apertamente difesa in questa Grammatichetta.
Ad essa si ricollegherà Marco Antonio Ateneo Carlino quando, nella sua La
Grammatica volgar dell’Ateneo (Napoli, Giannes Stulbach, 1533) definirà
il volgare ‘tersa lingua commune’. Si noti tuttavia che la Grammatica
del Carlino comprende solo il ‘ragionamento del nome’, e si fonda sugli
esempi d’autore, tra i quali Petrarca, e testi come l’Arcadia di
Sannazzaro e gli Asolani di Bembo
(Poggi Salani 1988: 777).
|