L’opera e il suo sommario
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sommario. Opere postume del
reverendiss. padre d. Pio Rossi da Piacenza [di Rosio Rossi] (cc. +2r-+2v);
Al merito del reverendiss. p. generale d. Onofrio Orobuoni, a cui viene
dedicato il presente libro. Sonetto [di G.C. Arcelli] (c. +3r); In lode del
m. rev. p. priore d. Rosio Rossi, che risolve di mettere alle stampe
l’opera presente del reverendiss. padre d. Pio Rossi suo zio. Sonetto [del
medesimo] (c. +3v); L’autore a’ lettori (cc. nn.); Vita del reverendiss.
padre d. Pio Rossi da Piacenza [di F. Giovambattista Pagani “siciliano”]
(cc. ++2r-++5r); Autori, od opere loro, citati nel seguente volume delle
Osservazioni (cc. nn.); Osservazioni sopra la lingua volgare; co’ la
dichiarazione delle men note, e più importanti voci (pp. 1-221). Ortografia, overo modo di distinguere, e
segnare le voci, e parti del periodo volgare: Al lettore (p. 224);
Prefazione (p. 225); Ortografia (pp. 225-30). Grammatica volgare, per
sapere in tal Favella Parlare, e Scrivere correttamente: Introduzione (p.
231); Grammatica (pp. 232-302); Tavola de’ capitoli distinti nella
grammatica volgare (p. 303); Indice delle cose notabili appartenenti alla
grammatica (pp. 304-8).
l’opera. Le Osservazioni
vennero pubblicate postume da un nipote di Pio Rossi, come indicato anche
in apertura. Il vocabolario, che dà il titolo al lavoro e ne occupa la
parte centrale, si dice costituito su un ampio numero di spogli degli
scrittori della tradizione, tra i quali, per il Due-Trecento, Dante,
Petrarca, Boccaccio, Cino da Pistoia, Sacchetti, Passavanti, quindi, per i
secoli successivi, Ariosto, Tasso, Bembo, Della Casa, Fulvio Testi, oltre a
opere grammaticali e lessicografiche del Sansovino,
Lombardelli, Salviati e della Crusca.
Nel lemmario, non sempre conforme a
criteri moderni, le parole polisemiche sono distinte in lemmi diversi: si
registra, ad esempio, “ago in
prosa, non Aco, Strumento d’acciaio, sottile per cucire [...]”; “ago, per traslazione il Raggio, o’l
Gnomone, o’l Stilo dell’Oriuolo, che mostra l’hore […]”; “ago, lo Spuntone dell’Ape, o della
Vespa […]”; “ago, il Ferretto
della serratura, ch’entra nella chiave, quando si vuol’aprire, o chiudere. L.
Stilus”; “ago, lo Stilo,
col quale s’attizza, o stucica il lucignuolo della lucerna, o candela […]”.
Le definizioni sono spesso costruite con
un cospicuo numero di sinonimi, ma non mancano descrizioni dettagliate e
osservazioni grammaticali (“egli.
L. Ipse. Primo caso nel numero del meno del Pronome corrispondente
all’Ille; vale Quegli, Colui, Esso. Ne’ casi obliqui non ha che una
sola voce, che è Lui. Nel numero del più Eglino in retto: in obliquo Loro
[…]”). Si nota una certa attenzione per le varietà dialettali (“saggina in Toscana, Melica in
Lombardia vagliono lo stesso, cioè quel Grano che produce il gambo, e le
foglie, come la canna […]”; “maiorana,
sansuco, amaraco, vagliono la stessa Erba, a ciascun nota [...]. I Toscani
la chiamano persa. Il Sansuco, e
l’Amaraco sono una cosa medesima.
Mattioli lib. 3. cap. 42. In
Toscana il Sansuco si chiama
Persa, ma in ogni altro luogo d’Italia Maiorana. Ivi”). L’ultimo esempio, insieme alla scelta di opere
spogliate, quali il volgarizzamento di Dioscoride del Mattioli, mostra
anche la particolare cura dell’autore per le voci del lessico medico del
periodo.
Il vocabolario è corredato e completato
da un trattato sull’ortografia e da una grammatica.
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