Stampe
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Prima edizione.
1536: Vocabulario, di cinquemila vocabuli
toschi non men oscuri che utili e necessarij del Furioso, Bocaccio,
Petrarcha e Dante nouamente dechiarati e raccolti da Fabricio Luna per,
alfabeta adutilita di chi legge, scriue e favella. Stampato in Napoli,
per Giouanni Sultzbach alemano.
Biblioteca dell’Accademia
della Crusca - Firenze
Biblioteca Nazionale
Centrale - Firenze
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L’opera e il suo sommario
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sommario. Oracione alla Regina de
Cieli. Maria; Al Eccell. Signor Don Bernardino Ventimiglia (cc. A2r-A2v);
Agl’ingeniosi candidi benegni lettori (cc. A3r-A4r); Breve introducione
delle cose tosche alli miei sopradetti Signori (cc. A4v-B4v); Vocabulario
di la favella tosca e prima de l’a (cc. C1r-Ee3r); Al libro (cc. Ee3v-Ffr);
Al S.D.P. [Signor Don Pietro] Conte di Luna (cc. Ffr-Ff3r); Ottave della S.
Veronica da Gambara in laude della Virtù sempre verde al E.S. Don Scipione
Ventimiglia (cc. Ff3r-Gg1r); Alla E.S. Luigia da Galluccio (cc. Gg1r-Gg2v);
Al E.S.D. Bernardino Vintimiglia il suo Fabro Luna, Ala Immaculata Vergine
(c. Gg2v); De gli errori (cc. Gg2v-Gg3r); Raccolta di vari versi (cc.
Gg3v-Gg4r).
l’opera. Il Vocabulario è, come suggerisce il titolo, costruito su un
modello linguistico letterario, pur alternativo alle sole Tre Corone con
l’innovativa aggiunta dell’Ariosto. Il Luna non riconosce la definizione di
lingua “come Toscha ma come la comune Italiana che come sapeti ogni lingua
da se e [=è] men buona ma la mescolata e la bella e la perfetta, in questo
favorendom’il cortigiano e molti altri spiriti degni di stima ben che ove
sono questi quattro dottori com’e l’Ariosto Boc. Pet. e Dant., fanno la
perfettion di quella che in questi reluce, e splende” (c. A3v). Il canone
degli autori è in realtà ancor più ampio e comprende circa quaranta nomi sia
antichi (Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Arnaut Daniel, Angelo
Poliziano) che moderni, tra i quali, insieme al prevedibile, napoletano,
Sannazzaro si raccoglie anche il meno consueto Machiavelli: un elenco
talora contraddittorio con differenze geografiche oltreché culturali e
comprendente anche grammatici contemporanei. Tra le fonti taciute si
segnala soprattutto il vocabolario del Minerbi,
pur letto con errori e fraintendimenti (“Bacco detto dal greco bao bao voce
di cane e di motteggio p.che egli e [=è] dio del vino e [quando] lhomo sta
embriaco abbaia o motteggia”); inoltre, il riferimento a viventi e
conoscenti rappresenta il tentativo di trovare autorizzazioni al ricorso al
proprio uso.
Dopo un elenco introduttivo di circa
duecento latinismi rintracciati negli scrittori e non disposti in ordine
alfabetico (“Usan gl’elegantissimi Toschi, com’e Dante Petrarca, il
Boccaccio e l’Ariosto nella sua furiosa eneida e molti altri di sopra
detti, questi Vocaboli al tutto latini, perché alle volte la lingua viene
meno non havendo del suo per la rima s’impresta dal latino lo che have di
bisogno” c. A4v), inizia il glossario, piuttosto un formario di voci selezionate
dagli autori; alla fine delle voci di ogni lettera sono riportati versi di
diverso metro e origine. I lemmi non sono tipizzati e mantengono talora
sviste tipografiche (“L’azzi”, “L’imosina”, “L’olio” registrati sotto “L”)
ma sono comunque riconducibili a una lingua salda, fissata cui si
contrappone la vivacità delle definizioni, che possono trasbordare in
aneddoti e brani discorsivi; è specialmente in questa seconda parte delle
voci che affiorano napoletanismi (“Accendere il lume cioe appicciare”; “Cima
cioe in coppa”), accostamenti sotto lo stesso lemma di termini di area
semantica diversa, errori nelle etimologie (“calle, callo che si fa alle
mani per fatica; dopo si piglia per la via stretta e faticosa & erta”;
“Carthagine detta a Cartilagine”). Le incertezze e le approssimazioni sono
anche spie della vitalità dell’opera e la rendono un utile testimone della
cultura, soprattutto letteraria, del Cinquecento napoletano.
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