Sommario e contenuto dell’opera
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La Grammatica dell’Acarisio
non si può disgiungere dalle altre due opere con le quali viene pubblicata
fin dalla prima edizione, e con le quali rappresenta un tipico esempio di
quegli ‘zibaldoni tra lessicali e grammaticali e spositivi quali eran
richiesti dai bisogni di chi s’introduce nello studio e nel culto del
volgare con la guida di Bembo’ (Trabalza 1908: 118). Notevole è l’intento
di sistematizzare la materia grammaticale in modo da aiutare lo studioso
incerto sulla forma da preferire, e a questo si deve probabilmente il
privilegiare, nella Grammatica, le forme regolari rispetto a quelle
irregolari, la cui discussione è rimandata al Vocabolario.
L’influsso di Bembo è forte, nonostante le numerosissime critiche alle regole
proposte nelle Prose.
La Grammatica è divisa in nove
capitoli che trattano in maniera minuziosa la morfologia e l’uso degli
argomenti cui sono dedicati, distinguendo le forme appropriate per la
poesia da quelle per la prosa (es. ‘Duo et dui sono del verso, et diece è
antico’). Le uniche differenze tra le edizioni 1543 e 1550 sono nel titolo.
Contenuta
in una raccolta generale di opere grammaticali (alle pp. 425-48) quella dell’Acarisio del 1562 comprende
la trattazione grammaticale e le osservazioni sull’ortografia, senza gli
apparati iniziali e con l’espunzione dell’elenco delle voci latine usate
dal Boccaccio.
SOMMARIO
Alberto Acharisio al Reverendo monsignore
messere Iacomo da Fiesco [Giacomo Fieschi], eletto di Savona, suo signore
osservandissimo (edd.
1543, 1550. La numerazione delle pagine, ove possibile, si riferisce
all’ed. 1543) (cc. A1v-A2r);
Alberto Acharisio a lettori (edd. 1543, 1550) (c. A2r);
Felix Portius calaber lectori S.D.P.
(edd. 1543, 1550)
(c. A2v);
Incomincia la Grammatica. De gli articoli (edd.
1543, 1550, 1562) (cc.
1r-3v) [Gli articoli sono quattro: 'il', 'lo', 'el' (‘non si pon mai se non
in compositione, come il duca el secretario sono in camera’), 'la'. Acarisio
nota che il plurale di ‘il’ e di ‘lo’ dovrebbe essere secondo Bembo
rispettivamente ‘i’ e ‘li’, ma Boccaccio usa ‘li’ anzichè ‘i’ anche davanti
a voci comincianti per consonanti; ad es. ‘li piaceri’. L’articolo ‘lo’
muta in ‘il’ davanti a ‘loro’, come nell’espressione ‘il loro studio’];
De nomi (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 3v-5r) [Si confrontano le
terminazioni volgari con quelle latine, e si confuta l’affermazione che
‘tutti i nomi neutri latini terminano in questa nostra lingua ne la a’ e
che, come sostiene Bembo, ‘questi nomi in a (...) siano appò noi neutri’
perché possono avere l’articolo maschile o femminile (ad es. ‘le ciglia’/’i
cigli’). I nomi numerali, eccetto ‘uno’, sono indeclinabili e solo
plurali];
De pronomi (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 5r-11r) [Tra i pronomi
personali si distinguono quelli che nel quarto caso finiscono in ‘e’,
quindi i tonici, da quelli che finiscono in ‘i’, cioè gli atoni. Se ne
illustra la posizione rispetto al verbo, sottolineando che ‘quando
terminano in e si dimostra
maggiore efficacia’, e se ne descrive l’uso in prosa e poesia. Vengono
descritti i dimostrativi (‘questi, costui, cotestui, questo, cotesto, ciò,
esto’) anche al femminile e al plurale; gli indefiniti (‘nullo, nessuno,
veruno, alcuno’); il pronome ‘chi’, del quale si dice che ‘quando
interrogativamente non stà, dinota colui il quale, ò colei la quale, ò
quale, come appò i latini fanno queste due voci qui, que’; i relativi ‘che,
cui’, e infine ‘ciascuno, ciascheduno, ciascuna, ciascheduna, quale, qualunque’];
De verbi (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 11r-15v) [Si distinguono
quattro ‘regole’, cioè coniugazioni - ‘amare, sedere, leggere, udire’ -
delle quali si danno solo le forme regolari, rimandando al Vocabolario
per quelle irregolari. Per ciascuna ‘regola’ sono esaminati l’imperativo,
il desiderativo, il soggiuntivo, l’infinitivo];
De gerondi (edd.
1543, 1550, 1562) (cc.
15r-15v) [Si discute se il gerundio si formi dai ‘participi terminanti in
ente, mutata la te in do, come amante amando’ (ipotesi sostenuta anche
dall’Acarisio), o se al contrario ‘i partecipi si formino da gerondi’, e
l’esito volgare dei gerundi latini che ‘si risolvono appò noi ne
l’infinitivo con le particole di et da, come io hò voglia di leggere’. Si
nota che i gerundi talvolta ‘si pongono in significazione passiva’ e che al
loro posto può porsi un costrutto con l’imperativo, come fa Boccaccio (II,
5): ‘buon huomo se tu hai troppo bevuto, và dormi’];
De partecipi (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 16r-17r) [Possono avere una
voce in ‘te’, l’altra in ‘to’, come in ‘caduto’ e ‘leggente’. Quelli che
terminano in ‘o’ - se sono posti con il verbo avere o con essere (con cui
formano i passivi) e si riferiscono a un nome - ‘si possono mutare et porle
nel genere et nel numero, nel quale sono quelle voci’, ma ‘possiamo dire
che l’orecchia habbia da essere quella che ci insegni’];
De gl’impersonali (edd. 1543, 1550, 1562) (c. 17v) [Se ne esamina solo la
morfologia, dicendo che si formano aggiungendo la ‘particola si à le terze
persone di verbi’, e si raddoppia la ‘s’ nel caso la forma di partenza sia
accentata: ‘amasi, amossi, amerassi’];
De gli avverbi locali (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 17v-19v) [Tratta solo gli
avverbi locali rimandando per gli altri al Vocabolario. Si esamina
il significato di ‘quì, quà et ci (la quale congiunta con la ne muta la i
in e), là’ in relazione a quello delle forme latine hic, huc, illic,
e l’uso con preposizioni, ad es. in ‘di quà’. ‘Costì vale la Istic latina,
costà vale la Istic et la Istuc’, ecc.];
De gli accenti (edd. 1543, 1550, 1562) (cc. 20r-25v) [Lasciati da parte
gli accenti acuto e grave, l’autore si sofferma sull’’accento collisivo’,
cioè l’apostrofo (termine già comparso nella Grammatichetta del
Trissino), e sulla scia di Bembo dice che ‘in molte voci si può porre et
anche lasciarvi la vocale, secondo che à l’orecchia de lo scrittore pare
che stia meglio’];
Regole generali de l’orthographia
(edd. 1543, 1550)
(cc. 26r-27v) [Lista di voci di imitazione latina tratte da Boccaccio.
Nell’ed. 1562 questa lista è annunciata ma espunta];
Vocabolario (edd. 1543, 1550) (cc. 28r-315v);
Errori
ne lo stampare, il primo numero dinota carta et il secondo rega (edd. 1543, 1550) (cc. 315v-316v).
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Apporto generale dell’opera
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Obiettivo
dell’autore e tipo di grammatica: L’intento dell’autore, dichiarato esplicitamente
già nella dedicatoria a Giacomo Fieschi che compare nella prima edizione
del 1543, è di ‘fare una operetta di Grammatica, Orthographia et Vocaboli’
intesa in un primo momento come strumento di consultazione per sé e per i
figli, e solo successivamente aperta al pubblico. L’Acarisio intende ‘di
servare l’ordine, il quale et gl’antichi e moderni scrittori hanno infino à
quì servato’ e, come molti di essi hanno fatto, dedica l’opera a qualcuno
che sia in grado di giudicarla e se necessario di correggerla ‘accio che
altri seguendo mè non pecchi’. Il medesimo invito alla correzione viene
esteso, nella seconda dedicatoria, ai lettori dell’opera.
La
grammatica viene pubblicata dall’Acarisio insieme a un trattatello di
ortografia e al vocabolario. Già nel 1536 l’autore aveva pubblicato a
Bologna una Grammatica volgare, ma si trattava di un’opera diversa
da quella presa qui in esame, soprattutto per quanto riguarda
l’atteggiamento nei confronti della linea di Bembo,
là preso a modello e ricordato nell’avviso Alli lettori, qui invece
neppure menzionato. Benché sostanzialmente l’organizzazione dell’opera
rimanga la stessa, qui le regole proposte da Bembo
nella prima edizione delle Prose del 1525, opera con la quale si
confronta l’Acarisio, vengono apertamente messe in discussione insieme a
quelle del Fortunio
e del Flaminio.
Interessi specifici. L'Acarisio scrive la grammatica
con lo stesso spirito che lo anima nel redigere il vocabolario, insieme al
quale la grammatica viene pubblicata: una dichiarata autonomia rispetto ai
grammatici contemporanei, ma continuando a citare le Tre Corone e a tenere
conto del Bembo.
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Innovazioni terminologiche: Acarisio, ripetendo una scelta
già operata nella Grammatica volgare del 1536, ricorre alla
terminologia latina impiegata dal Fortunio
e poi dal Flaminio nel suo Compendio, rinunciando tra l’altro alle
perifrasi che Bembo
utilizza per indicare le categorie grammaticali. Preferisce così per
esempio, rispettivamente, ‘presente’ e ‘imperfetto’ ai bembeschi ‘il tempo che
corre mentre l’uomo parla’ e ‘il pendente tempo’. Dalle opere contenute nel
volume traspare un lievissimo colorito ligure per quanto riguarda certe
scelte lessicali (es. ‘balcone’ e ‘civire’) dovuto al soggiorno dell’A. a
Genova. Rari sono gli equivalenti latini dei pronomi e avverbi locali
volgari, mentre viene proposto un elenco di latinismi di Boccaccio in
polemica con il Fortunio il quale aveva detto, come sostiene lo stesso
Acarisio, ‘che noi ci dobbiamo, quanto più possiamo, dalle voci latine scostare’.
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Corpus di esempi: Acarisio ricorre a esempi
d’autore per contrapporre l’uso del Boccaccio a quello di Dante e Petrarca
così come, in precedenza, si nota nei lavori dell’Alunno,
del Dolce,
e nel secondo libro delle Vulgari elegantie di Niccolò
Liburnio (1521): 42r-45r. La raccolta di esempi è ricchissima.
Interesse generale:
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Influenza
subita: Notevole è l’influenza di Bembo, Fortunio, Flaminio, nonostante
molte delle loro proposte vengano discusse e confutate.
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Influenza esercitata: La
distinzione tra linguaggio della prosa e della poesia, che è già del Bembo,
sarà osservata anche da altri grammatici, fra i quali si ricorda Paolo del
Rosso nelle sue Regole
osservanze e avvertimenti sopra lo scrivere correttamente la lingua volgare
toscana in prosa et in versi (In Napoli, per Mattia Cance,
1545). A questo proposito Trabalza (1908: 120) sostiene che ‘era anche
questo, come ognun vede, un allontanarsi dalla realtà e un sottoporre la
lingua sempre più al processo dell’estrazione’.
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