L’opera e il suo sommario
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sommario. Eminentissimo, e
reverendissimo signore, e padrone colendissimo (cc. A2r-A2v); Alli benigni
lettori (cc. A3r-A4v); Dittionario italiano, turchesco di Gio. Molino
Interprete (cc.A5r-Q8r, con colonne numerate 1-494); Indice del dittionario
della lingua italiana, e turchesca (con numerazione nuova: cc. A1r-E7v);
Linguaggi che si parlano per tutto il dominio Ottomano (c. E8r); Imperij, regni,
signorie, et tributarie, che la casa ottomana tiene sotto di se (c.
E8r); Brevi rudimenti del parlar turchesco. Quattro sono le parti
principali del parlar turchesco, cioè nome, pronome, verbo, et avverbio
(cc. F1r-F4r); Errori e correttioni (c. F4v).
l’opera. Il vocabolario del
Molino nasce dall’evoluzione che i rapporti con l’impero ottomano avevano
subito sin dal Cinquecento portando a un’inedita curiosità per il turco in
Italia. Crebbe pertanto il numero di grammatiche e vocabolari per
apprendere la lingua ‘turchesca’. “Questi opuscoli utilitaristici dovettero
godere di una certa fortuna, se ne sono giunti fino a noi, malgrado la loro
labilità, diversi esemplari, magari col titolo mutato e lo stesso
contenuto” (Cortelazzo 1989: 133). Il Dittionario
si ascrive a una tradizione lessicografica che inizia col Vocabulario nuovo del 1574 e si
compone perlopiù di opere simili con smilze liste di parole, ma soprattutto
di fraseologia. Trattando nell’introduzione delle diverse parlate turche
l’autore dice di essersi “accostato al parlare Costantinopolitano, il quale
al presente è il migliore, essendovi la residenza della persona Reggia”
(cc. A3v-A4r).
Il lemmario, che è solo dall’italiano al
turco, abbonda di locuzioni e sintagmi che sono registrati, come avviene
spesso, secondo la prima parola che li compone (si noti ad esempio la
sequenza: “A bon’hora”, “A bon mercato”, “Abuso”, “A bon viaggio”). Si
segnalano a lemma numerose varianti fonetiche dialettali (“cacciare fora” e
“fuora”, “calcinaro”, “bono” e “bonissimo”), forme desuete (“caldezza”) e
frequenti registrazioni di nomi propri, perlopiù geografici.
Gli articoli si compongono col solo
corrispondente turco, ma si danno, talora, anche glosse esplicative, di
solito con equivalenti sinonimici, soprattutto per distinguere parole
polisemiche (“Capo, ò guida”, “Capo, cioè promontorio”). L’autore tace su
eventuali fonti consultate. Il dizionario è seguito da un indice in cui
sono ordinate le voci turche con il rinvio al lemmario italiano.
Nel 1677 fu pubblicato dal Mascis un
vocabolario considerato plagio del lavoro del Molino, di cui questa del
1641 è la prima edizione a quanto si sappia.
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